31 Mar ANCORA SULLE DISPOSIZIONI APPLICABILI ALLE LOCAZIONI COMMERCIALI
L’art. 65 del D.L. 18/2020 disciplina specificatamente il regime di tutela per imprese commerciali, riconoscendo un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1. Il credito d’imposta non si applica tuttavia alle attività non sospese dal DPCM del 11 marzo 2020 ed è utilizzabile esclusivamente in compensazione (credito d’imposta) dall’impresa conduttrice. Dal contenuto della norma si prende atto di una scelta posta in essere dal Governo, connotata evidentemente da un indebito giudizio di meritevolezza (si distingue una categoria dalle altre). Avendo inserito nel corpo della disposizione il riferimento al classamento catastale, limitando l’agevolazione agli immobili classificati C1, non si lascia spazio a letture estensive (diverse categorie catastali). Obiettivamente sfuggono, ad una prima riflessione, quali possano essere le giustificazioni che hanno imposto di escludere dal regime di favore altre categorie catastali quali C2, C3 (destinazione artigianale) A10 (uffici) e D2 (alberghi ed affittacamere). Ciò che parimenti colpisce è il fatto di aver voluto tutelare gli interessi del proprietario dell’immobile concesso in locazione, il quale si trova legittimato a richiedere il pagamento del canone di locazione dal soggetto la cui attività di impresa viene improvvisamente interdetta per legge. Anche per gli esercenti attività di impresa che potranno beneficiare dell’incentivo fiscale (fra i quali potrebbero rientrare, bar, ristoranti, negozi di prodotti non alimentari in genere), la norma non appare in ogni caso estremamente favorevole, essendo a loro richiesto di ricorrere al proprio patrimonio (non potendo produrre reddito), per fare fronte diligentemente alla obbligazione convenuta (quando tuttavia non erano state imposte restrizione al libero movimento delle persone ed esercizio dell’attività di impresa); la previsione normativa quindi non scongiura il rischio insolvenza per la singola impresa, in alcun modo, anzi, se possibile, detta previsione lo aggrava, in totale contraddittorietà con quanto sarebbe stato legittimo aspettarsi. Le imprese non in grado di poter ricorrere al proprio patrimonio, verrebbero presumibilmente escluse dal mercato, perché soggette ipoteticamente anche ad una eventuale azione esecutiva posta in essere dal proprietario del bene strumentale all’esercizio dell’impresa, per il mancato pagamento del canone, onere in qualche modo imposto proprio dalla richiamata norma. In assenza di detta norma il conduttore avrebbe potuto invocare la disciplina dell’art. 1218 c.c. Appare quindi una indebita forzatura e produttiva di potenziali maggior danni quella di voler ricondurre ad ordinario ciò che appare evidentemente straordinario (l’impatto della diffusione dell’epidemia sul contenuto delle obbligazioni convenute fra le parti). Per quanto riguarda infine la posizione degli imprenditori (ovvero dei lavoratori autonomi) che conducono in locazione immobili di categoria C2, C3, D, A10 troverà applicazione quanto disposto dall’art. 91 D.L. già esaminato; per tutte queste ipotesi si può prevedere un forte incremento delle controversie fra le parti interessate in sede giurisdizionale.