IL RUOLO DELLA BCE NEI LIMITI DEI VINCOLI STABILITI DAL TRATTATO UE PER ARGINARE L’EMERGENZA COVID-19

IL RUOLO DELLA BCE NEI LIMITI DEI VINCOLI STABILITI DAL TRATTATO UE PER ARGINARE L’EMERGENZA COVID-19

“Non siamo qui per chiudere gli spread!”: questa è la frase, dai più criticata, pronunciata dalla Presidente della BCE Christine Lagarde,  agli inizi del sorgere dell’epidemia COVID-19, in risposta ad una domanda formulata da un giornalista, in conferenza stampa. Gli effetti furono immediati: crescita dello spread fra il rendimento dei titoli emessi dallo Stato Italiano e quelli emessi dalla Germania, riflessi sul mercato borsistico, in particolare sui titoli finanziari italiani quotati, detentori di ingenti quantitativi di titoli del debito pubblico italiano.

Ciò ha probabilmente portato alla repentina decisione del Consiglio direttivo della BCE, che con comunicato stampa del 18 marzo 2020, annunciava un piano straordinario di acquisti denominato “Pandemic Emergency Purchase Programme” (PEPP), un programma di acquisti dell’ammontare dichiarato di 750 MLD da effettuarsi lungo un arco temporale con termine alla fine dell’anno 2020, almeno nei piani iniziali, che andava ad aggiungersi al programma già in corso ma molto più limitato quantitativamente rivolto all’acquisto sul mercato secondario dei titoli del debito pubblico emessi dai singoli Stati Membri (nel caso dell’Italia i noti BTP a durata decennale, ad esempio).

Tale annuncio ha avuto – per l’appunto – l’immediato effetto di riabbassare i valori dello spread fra differenti paesi dell’UE e calmierare l’andamento in borsa dei titoli finanziari italiani.

Ma tutto ciò può ritenersi in linea con le previsioni dei Trattati ? E, soprattutto, potranno alcuni Stati Membri, vedi in particolare la Germania, mettere in discussione questa decisione?

La materia è molto complessa e quindi si procederà ad una ricostruzione sintetica e per sommi capi. Per comprendere le decisioni prese occorre inquadrarle all’interno dei principi che vincolano l’azione degli stati membri alla luce delle disposizione del Trattato (TFUE) ed i limiti di iniziativa riservati alla BCE. Alcune premesse: un articolo specifico del Trattato UE (l’art. 123 TFUE) vieta qualsiasi assistenza finanziaria del Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) al singolo stato membro.

La BCE quindi non potrà in alcun modo aiutare, ordinariamente e senza condizioni, uno Stato Membro a porre rimedio a situazioni di Bilancio per rimediare a squilibri determinati dalla mancata applicazione di quelle che vengono definite dai Trattati come “politiche di austerità di Bilancio” ; la dichiarazione della Presidente BCE , non siamo qui a chiudere gli spread, quindi, appare sinceramente ricostruire l’impianto di governance ed in linea con i principi comunitari.

Tuttavia la Corte di Giustizia, con due successive sentenze, la prima del 16 giugno 2015, ha avuto modo di precisare i limiti degli interventi ammessi di acquisto di titoli da parte della BCE: è fatto divieto alla BCE di acquistare titoli del debito pubblico al momento della loro emissione, ma è consentito effettuare gli acquisiti sul mercato secondario. Ciò appare oramai pacifico e conforme al ruolo conferito al SEBC dal Trattato, nonostante i tentativi contrastanti attivati dalla Germania, per affermare il contrario; avanti alla  Corte Costituzionale di Karlsruhe venivano attivati ben due successivi procedimenti negli ultimi anni (per il secondo è fissata una udienza al prossimo 5 maggio, ove dovrà recepirsi il pronunciamento reso in via pregiudiziale dalla CGUE). In tali ambiti la Corte di Giustizia ha ripetutamente affermato una serie di principi: 1) l’obiettivo principale di politica monetaria dell’unione è quello di garantire la stabilità dei prezzi; 2) le norme del Trattato stabiliscono che il SEBC sostiene le politiche economiche generali dell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione di quest’ultima e che gli autori dei Trattati non hanno inteso operare una separazione assoluta tra la politica economica e quella monetaria; 3) che non vi è nel Trattato una definizione chiara di politica monetaria e che quindi per stabilire se una  misura possa rientrare all’interno della politica monetaria occorre fare riferimento agli obiettivi della misura stessa; 4) che il mantenimento, a medio termine, di tassi di inflazione inferiori, ma prossimi, al 2%, adottato dal SEBC a partire dall’anno 2003, persegue astrattamente l’obiettivo di  prevenire l’eventuale comparsa di un rischio di deflazione; 5) che scongiurare il rischio di deflazione rientra fra gli obiettivi di politica monetaria (sentenza del 11.12.2018, C-493/17); 6) che in ogni caso l’azione della BCE deve essere proporzionata al raggiungimento dell’obiettivo, ovvero non deve andare oltre rispetto a quanto necessario; 7) che la gestione della politica monetaria implica in permanenza interventi sui tassi di interesse e sulle condizioni di rifinanziamento delle banche, il che ha necessariamente delle conseguenze sulle condizioni di finanziamento del deficit pubblico degli Stati membri  8) una misura di politica monetaria non può essere equiparata ad una misura di politica economica per il solo fatto che essa è suscettibile di produrre effetti indiretti che possono essere ricercati anche nel quadro della politica economica.

In sostanza, quindi, deve ritenersi rientrante fra le politiche monetarie di iniziativa della BCE il programma di acquisto di titoli di stato degli Stati membri sui mercati secondari, in quanto finalizzati a scongiurare rischi deflattivi, indipendentemente dalla eventuale ed effettiva produzione di effetti indiretti in materia di politica economica (alleggerimento degli oneri di finanziamento sui singoli Stati membri).

Tuttavia la CGUE giunge a tale conclusione sul presupposto del rispetto di alcune condizioni, ed in particolare: gli acquisti non devono essere selettivi (singoli stati membri) ma riguardare l’acquisto dei titoli emessi da tutti gli stati in proporzione alla partecipazione dei singoli Stati al Bilancio BCE (proporzionalità); gli acquisti non possono riguardare la totalità dei titoli offerti per ogni singola emissione: poiché chi acquista in emissione il titolo non può essere certo di poterlo rivendere alla BCE, limitandosi di fatto a svolgere il ruolo di intermediario, ma deve assumere il rischio di detenerlo fino alla scadenza 3) la BCE deve avere la facoltà di rivendere in qualsiasi momento il titolo detenuto anche prima della scadenza 4) deve esistere un termine fra l’emissione ed il successivo acquisto da parte della BCE.

Ebbene il programma di acquisti iniziato nel 2015 dalla BCE prevedeva la possibilità di acquistare i titoli nei limiti di un terzo della singola emissione e di 1/3 dei titoli in circolazione emessi da un Singolo Stato per tutta la durata del piano. Come detto poi la BCE è obbligata ad acquistare proporzionalmente i titoli emessi da ogni Stato membro.

Con il comunicato del 18 marzo scorso il Consiglio direttivo della BCE ha pubblicizzato la decisione di incrementare gli acquisti estendendo i quantitativi fino a 750 MLCD complessivi fino alla fine dell’anno in corso, per fare fronte alla situazione venutasi a creare a causa dell’emergenza pandemica. Nel comunicato in ultimo viene anche specificato che: “il Consiglio direttivo farà tutto ciò che sarà necessario nell’ambito del proprio mandato …. è assolutamente pronto a incrementare l’entità dei programmi di acquisto nella misura necessaria affinché le circostanze lo richiederanno. Ove alcuni dei limiti auto imposti possano ostacolare l’azione che la BCE dovrà intraprendere per assolvere il suo mandato, il Consiglio valuterà un loro riesame nella misura necessaria a rendere il proprio intervento proporzionato ai rischi da affrontare“. Non si esclude quindi di derogare, se necessario, alle regole stabilite dall’ordinario programma di acquisti (limite di 1/3), ma solo per un periodo di tempo limitato (fino alla fine del 2020), e ciò potrebbe essere parimenti giudicato conforme ai principi espressi del Trattato in un eventuale successivo giudizio avanti alla Corte UE.

In conclusione quindi si può sostenere che la BCE non opera certo per agevolare il Singolo Stato membro nel raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica assegnati dal Trattato, tuttavia non può escludersi che detti effetti possano prodursi indirettamente ed occasionalmente sulla base di politiche di intervento attuate per la stabilizzazione dei prezzi e per il raggiungimento nel mercato interno di un livello di inflazione approssimantesi intorno al 2%.

Non vi è dubbio che al momento dette misure paradossalmente sembrano essere quelle aventi l’effetto maggiormente benefico per il Governo Italiano, nel contenimento della crisi scaturita dalla pandemia COVID-19. Se i titoli del debito emessi per finanziare le politiche di intervento pubblico (volte a fare fronte all’emergenza occupazionale determinata dal lockdown: cig in deroga e indennità per autonomi principalmente) dovessero incorporare un maggior rendimento in conto interessi, da riconoscersi al detentore, in assenza di interventi di acquisto della BCE sul mercato secondario, crescerebbe conseguentemente l’ammontare complessivo del debito da rimborsare e maggiori sarebbero i vincoli futuri condizionanti le politiche di bilancio da approvarsi dal Parlamento.

E’pacifico tuttavia che detti interventi avranno una durata limitata nel tempo, al momento prevista al 31 dicembre 2020, comunque nei limiti della persistenza dell’emergenza pandemica COVID-19, superata detta fase, rimangono incerte le modalità di intervento sui mercato della BCE.

Ma il fatto che i titoli di Stato per un ammontare finanche superiore, in ipotesi ad 1/3 del totale circolante, risultino detenuti dalla BCE, NON può rassicurare i cittadini dello Stato membro, incombendo sugli stessi l’onere di contribuire agli oneri per l’integrale rimborso del debito (alla BCE come a qualsiasi altro detentore), al fine di evitare procedure di default, che ricadrebbero, come vedremo, almeno per la gran parte, sugli stessi.

(continua)

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